Uscito su Charta n. 165 di settembre/ottobre il nostro articolo redatto al momento della conferenza stampa di presentazione dell’evento espositivo Il Raffaello all’Ambrosiana – In principio il Cartone, in occasione della fine del restauro conservativo del cartone preparatorio per La Scuola di Atene di Raffaello, il 25 marzo 2019.
In quella occasione è stato interessante poter intervistare il restauratore Maurizio Michelozzi, a capo della commissione che ha seguito ed eseguito il delicato e lungo intervento che ha condotto fino alla splendida esposizione che possiamo ammirare oggi all’Ambrosiana di Milano.
Di seguito il testo dell’articolo.
ATTRAVERSO IL CARTONE
Il restauro del Cartone preparatorio per la Scuola di Atene di Raffaello presso la Pinacoteca Ambrosiana
Come un violinista fatica ad ascoltare un componimento scritto per il suo strumento, senza pensare almeno un po’ alla tecnica esecutiva, alla diteggiatura o alle arcate, prima di assaporare appieno la bellezza delle note, così per un restauratore è quasi impossibile non analizzare prima da molto vicino i dettagli della tecnica di un’opera d’arte e ancor più, se essa è stata restaurata, non andare a cercare i risultati dell’intervento di restauro per poi finalmente allontanarsi e contemplare la vera bellezza dell’opera intera.
E’ quello che è successo a me, anche in occasione della presentazione del restauro completato, dopo quattro anni di lavori, del Cartone preparatorio per l’affresco di Raffaello Sanzio denominato “La Scuola di Atene” o “La Filosofia” e di proprietà della Pinacoteca Ambrosiana di Milano.
Il progetto di restauro e valorizzazione e il nuovo allestimento, in cui l’opera è stata inserita, sono in mostra a Milano, presso la Pinacoteca stessa, dalla fine di marzo 2019 nell’evento espositivo permanente Il Raffaello dell’Ambrosiana. In Principio il Cartone.
L’allestimento, curato dall’architetto Stefano Boeri, ha previsto una teca, (Goppion S.p.A.), supertecnologica con valori termoigrometrici costantemente monitorati, al cui interno è inserita l’opera montata su di un telaio con un tensionamento controllato da molle per il mantenimento della planarità, un imponente vetro con filtro ultravioletto e antiriflesso di 8 metri per 3, che garantisce la miglior trasparenza che mi sia mai capitato di vedere, accompagnata da un’illuminazione di rara efficacia che esalta dettagli come i sormonti tra i fogli, la texture della carta e dei tratti a carboncino su di essa, anche i tagli e le pieghe, ma soprattutto i fori dello spolvero che più di tutto riportano al momento originario in cui l’idea e il progetto di Raffaello si sono trasformati in opera a fresco.
Va detto anzitutto che il cartone preparatorio non era affatto disegnato su un supporto dello spessore che il nome potrebbe indurre a pensare, bensì su comuni fogli di carta giuntati tra loro, in questo caso ben 210 e tutti di pari spessore. Ma ciò che è più emozionante è il suo processo di preparazione: dopo essere stato disegnato dall’artista con tratti a carboncino nero, pietra rossa e lumeggiature a biacca, esso veniva infatti bucherellato con una punta lungo i contorni delle figure e delle linee architettoniche, ma ponendo al di sotto un altro cartone bianco, ed era quest’ultimo, tagliato poi secondo le giornate di lavoro per l’affresco, che consentiva poi lo spolvero a polvere di carbone: questa, passando attraverso i piccoli fori, andava a tracciare il disegno direttamente sulla parete, e quindi tale cartone sostitutivo veniva poi distrutto.
È per questo motivo che il cosiddetto “ben finito cartone” si è conservato invece intero, restituendoci la nascita dell’opera direttamente dalla mano di Raffaello e costituendo un caso praticamente unico di cartone rinascimentale di queste proporzioni giunto pressoché integro fino ai nostri giorni.
Esso era entrato a far parte della collezione del cardinale Federico Borromeo, dapprima in prestito dal 1610 e poi definitivamente dal 1626, allora si presentava diviso in due parti e montato su due telai. Requisito dall’esercito napoleonico nel 1796, venne trasferito a Parigi con un traumatico viaggio che è all’origine forse dei principali danni che si sono prodotti sull’opera: arrotolato e inserito in casse di legno, esso ha attraversato montagne e fiumi, ha subito bagnamenti riportando macchie e muffe. Giunto al Louvre, subì un importante intervento di restauro che comportò la rimozione dall’originario supporto in tela a diretto contatto con l’opera e il riassemblaggio delle due porzioni con una nuova foderatura in carta e tela, il montaggio su un telaio, l’integrazione delle parti mancanti e un’intonatura.
Rientrò a Milano nel 1816, dove rimase fino ai nostri giorni, salvo che nei periodi bellici. Dovette però aspettare fino al 1905 prima di avere una protezione in vetro e questo porta facilmente a pensare a quanta polvere possa essersi depositata sulla sua superficie in quasi 400 anni.
Ecco perché l’intervento di restauro, come spiega Il direttore, progettista e coordinatore dei lavori e del team di collaboratori restauratori Maurizio Michelozzi, è partito proprio da una prima pulitura del verso e del recto dell’opera con una micro aspirazione delle polveri depositatesi in un così lungo periodo.
Il lungo lavoro di studio e valutazione dello stato di conservazione è stato condotto dal Comitato Scientifico composto dal Collegio dei Dottori della Biblioteca Ambrosiana, dall’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, i Musei Vaticani, la Soprintendenza di Milano e il Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”, la consulenza tecnica di Pinin Brambilla Barcilon, nonché da docenti di diverse Università italiane.
Le operazioni di restauro sono state condizionate dalle proporzioni dell’opera che, una volta smontata dal telaio, non è mai stata divisa, anche nel rispetto del restauro storico condotto in Francia che doveva servire come “modèle au monde” (1797) “Questo è un momento emblematico -racconta Michelozzi – affermandosi per la prima volta una volontà di etica nel restauro, limitandosi le integrazioni grafiche-pittoriche solo alle parti integrate nelle lacune, anche se poi, a causa di limiti tecnici, l’opera subì ugualmente delle alterazioni soprattutto nella parte inferiore sulle linee della scalinata”.
Come aggiunge ancora Maurizio Michelozzi – fondamentale nello studio preliminare è stata l’elaborazione di una valutazione critica delle caratteristiche formali sia in senso assoluto che relativo al suo stato di conservazione, per evitare un intervento arbitrario basato sul “gusto” o la paventata oggettività di un intervento cosiddetto “scientifico”.
Le dimensioni, si diceva, hanno comportato movimentazioni complesse, svoltesi tutte rigorosamente all’interno delle sale dell’Ambrosiana, come ha ricordato Antonella Ranaldi, Soprintendente per la città Metropolitana di Milano, durante la conferenza stampa inaugurale.
Le fasi di asportazione della tela di foderatura e dei vecchi adesivi, di consolidamento di parti decoese, di recupero della carta cerulea perimetrale risalente al restauro settecentesco e di foderatura in carta giapponese, sono state seguite da una pulitura localizzata e da piccole integrazioni cromatiche, volti prevalentemente ad abbassare il tono delle macchie per permettere una percezione equilibrata dell’opera: equilibrio studiato, cercato e capito durante tutto l’intervento, come ci dice ancora Michelozzi: “Da un punto di vista estetico, i danni prodotti dal tempo o dall’ uomo modificano l’armonia di un’immagine alterandone i fattori percettivi, il restauro non può ristabilire l’equilibrio originale, quindi dobbiamo essere noi a trovarne uno nuovo che non alteri l’intenzione dell’artista e che sia il più possibile fedele a quello perduto. Il restauro non è soltanto un momento operativo, ma soprattutto è un momento critico che si sviluppa tra le analisi formali e dello stato di conservazione e la ricerca di un’armonia di immagine che si avvicini il più possibile all’intenzione dell’artista”.
Da restauratrice, non posso che trovarmi in sintonia con queste parole: Il risultato è davvero equilibrato sia nella visione ultra ravvicinata “da restauratore”, sia in quella che, una volta allontanatami dall’opera di molti metri, ho potuto assaporare lasciandomi catturare dalla bellezza del disegno del maestro.
Anche Lucia Tarantola, collega restauratrice che ha preso parte alle fasi finali della rintelatura, del montaggio sul telaio in alluminio e dell’inserimento nella teca, raccontava di aver sperimentato a sua volta il fascino e la grande emozione di trovarsi a distanza minima, quasi col viso contro al cartone e di “sentirlo vibrare”, durante la movimentazione in posizione finalmente verticale dopo quattro anni, come se dalla carta potesse ancora in qualche modo uscire qualcosa di Raffaello stesso.
Di grande effetto, oltre che gli ottimi strumenti multimediali interattivi che supportano il visitatore sull’intervento di restauro, di cui restituiscono mirabilmente alcuni momenti fondamentali, anche la videoinstallazione posizionata all’ingresso della sala del Cartone, ( Olo Creative Farm), in cui, oltre a raccontare storia, significato e personaggi, l’animazione grafica ci suggerisce la presenza dei fori per lo spolvero con l’illusione di una retroilluminazione che filtra sotto forma di raggi proprio attraverso la bucherellatura, subito seguita da una nuvola di polvere di carbone che si materializza verso lo spettatore a cui fa visualizzare molto efficacemente la tecnica dello spolvero, lasciandolo davvero stupefatto: le videorealizzazioni di Peter Greenaway sul cenacolo di Leonardo hanno effettivamente fatto scuola nel campo della videografica per l’arte!
È anche disponibile un pregevole catalogo, nella forma del picture book, redatto da Mons. Alberto Rocca, Direttore della Pinacoteca Ambrosiana, corredato da una straordinaria serie di immagini ad alta definizione che consentono letteralmente di immergersi nelle figure del disegno, riportate nelle proporzioni dell’uno a uno e quindi anche al fruitore comune di sperimentare quella visualizzazione al minimo dettaglio peculiare di noi addetti ai lavori.
Non mi resta che consigliare questa esperienza sensoriale unica, intorno a un tavolo come fossimo i collaboratori di Raffaello nel cantiere delle stanze vaticane o avvicinandoci, fermarci in ammirazione di questo capolavoro come fece Napoleone Bonaparte nella Galerie d’Apollon al Louvre.
Alessandra Furlotti